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di Marco Rock

Il rock, come tutte le verità ti viene a cercare, non lo scegli tu ma lui, e per chissà quale strano algoritmo machiavellico sa dove trovarti, un bel giorno si presenta vestito da signore distinto ed elegante e ti regala della roba che ti fa stare bene come il più classico dei pusher.

Ma proprio come il più classico clichè che vede recitare spacciatore e spacciato, anche il rock poi ti viene a chiedere il conto e la prima cosa che ti chiede, anzi che si prende, è la tua anima.
Si, perché se è tanto banale e scontato parlare di anime dannate nel mondo del rock, non è altrettanto banale raccontare come questa anime vengono scelte e rapite.

Non essendo presente quando vennero scelte le anime di Robert Johnson, Keith Richard o Jimi Hendrix vi racconto come Mr. Rock trovò me, molto più modesto e meno appariscente bambino seienne braidese vissuto all’ombra di un padre che ascoltava solo Nicola Di Bari e in compagnia di una mamma appassionata di Battisti e Morandi.

Era sera, e sì, perché come nei più classici scenari in cui accade qualcosa di inaspettato era sera, a casa di amici di famiglia in una tipica serata che dopo cena vede i bambini giocare da una parte e gli adulti discutere di Andreotti e Reagan dall’altra.

Avevo 6 anni quella sera…

Avevo 6 anni e quella sera conobbi il rock, anzi il rock mi scelse…
Improvvisamente, la puntina che accarezzava il vinile che girava solitario e risoluto nella quasi totale indifferenza dei commensali, incontra i solchi della traccia che cambiò tutto.


Un urlo: “CIIIUURMAAAA , questo silenzio cos’è?? SVEGLIAAAAAA tutti a rapporto da me!!”

Il rock chiamò e io mi destai…

Nel percorrere quei tre metri che mi separavano dalla cassa, si compì la metamorfosi kafkiana che mi portò in una dimensione che i miei amici conobbero solo anni dopo, fortunato? Destinato? Condannato? Lascio a chi giudicherà la mia vita trovare la definizione giusta, io per ora mi godo il rock, quello assoluto, quello puro, quello fatto di chitarre batteria e basso, tutto il resto lo lascio a quelli più bravi nel capire le cose complicate…
Scoprii ovviamente solo dopo, che quell’album, “Sono solo canzonette” di E. Bennato uscito l’anno prima, sarebbe diventato il mio talmud; seguire quella voce e scegliere Bennato come capitano mi portò in una dimensione tanto eccitante quanto dolorosa, ma questa ve la racconterò un’altra volta.

“Il rock di capitan Uncino” di E. Bennato
Album “Sono solo canzonette” edito da Ricordi 1 Aprile 1980

2 pensiero su “IL GIORNO CHE IL ROCK MI VENNE A CERCARE”
  1. Caro Marco Rock, con semplicità, senza retorica, ne’ enfasi, hai dichiarato il tuo autentico amore per il Rock.

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