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di Martina Lamberti per Freedom Writers

Premessa:

Mi piace mettere su carta i pensieri scrivendoli di getto, trascrivendoli semplicemente così come li penso. Questo scritto è uno di quelli.

Mia nonna scrive il mio nome sulla stoffa

Mia nonna scrive il mio nome sulla stoffa ed è una cosa che mi stravolge il cuore, me lo demolisce. Granata in una scatola di carta.

È il suo modo per sbattermi in faccia la cruda realtà con un solo nome appiccicato con dello scotch sul sacchetto trasparente di uno scampolo a quadri bianchi e gialli.

Un pezzettino di carta strappato a mano da un foglio più grande, tre parole “è di martina”.

Potrebbe sembrare nulla, un modo per classificare le cose ma sotto quelle tre parole c’è un significato ben più profondo: la morte.

A vent’anni non si pensa mai alla malefica: la si vede come una cosa lontana, una cosa da vecchi, una cosa di altri.

A vent’anni c’è altro di più importante a cui pensare: le serate in discoteca, la pallavolo, il teatro, i vestiti, sembrare un figo con gli amici.

Poi però nella vita di ognuno arriva una nonna qualsiasi, come la mia nonna Luci, e lei, proprio lei, la persona che ti vuole più bene al mondo, in tre parole ti mostra il significato della stronza.

E capita in un giorno qualsiasi, mentre stai pensando a tutt’altro e hai addosso una cosa qualunque, forse un jeans e una felpa vecchia dieci anni.

Capita lì: le hai chiesto di cucirti un astuccio e sei dietro di lei che, curva, scava nel vano del vecchio pouf, tra le altre stoffe.

Quando tira fuori lo scampolo giallo e bianco, quello che avevi comprato dell’emporio dei tessuti, vedi quel foglio.

“è di martina”.

Con un pezzettino di carta troppo piccolo per le parole che ha voluto scriverci e con la minuscola come prima lettera nel nome di sua nipote, ti dice “la morte esiste e sta arrivando”.

Ho già pensato molte volte al giorno in cui la vita delle persone a cui voglio bene finirà: sono immagini in grado di trasformare il sangue nelle mie vene in miliardi di fiocchi di neve color rubino.

Ma non ho mai, e dico mai, pensato alla mia fine.

Perché sono giovane, probabilmente, perché la vita ha un arco da seguire, perché ci sono degli steps che secondo la nostra convinzione umana devono essere adempiuti prima di poter abbandonare il gioco e io non li ho ancora esauriti.

Ma mia nonna sì, lei crede di essere arrivata alla fine degli steps, crede di aver fatto il suo dovere e di essere arrivata al capolinea.

Quasi.

Così si prepara, prepara il mondo che vuole lasciare a chi resta.

Lo fa cercando dei modi per poter dire la sua anche nei giorni in cui lei ci sarà invisibile e in cui potrà urlare a squarciagola ma noi non la sentiremo.

E io me la immagino, sarà scocciatissima di dover guardare senza poter dire.

Sarà esattamente come ora: pantaloni neri, golfino rosa e grembiule a quadri rossi con due ciliegie stampate sul tascone.

Parlerà senza voce e sarà un po’ più trasparente.

Per questo incolla etichette sui miei scampoli: per ricordare a chi verrà dopo di lei e quindi a coloro che dovranno occuparsi di quel materiale che quella è roba mia, che se non avrà avuto il tempo lei di restituirmeli o diconsegnarmeli saranno loro tenuti a farmeli avere al posto suo, a non tenerseli, a far ritornare al proprio padrone ciò che hanno trovato nella sua casa.

È sempre stata incline all’essere giusta per non aver sensi di colpa.

Ed è così che mia nonna affronta la morte, preparando gentilezze di cui noi potremmo fruire anche dopo la sua partenza e cercando modi per rendersi il più eterna possibile.

E lo fa come se fosse la cosa più naturale di sempre, si vede che lei la morte l’ha già affrontata, hanno già parlato e fatto amicizia.

Si sono dette, forse davanti a un bicchiere di acqua e limone fumante, che un giorno lei, la morte, passerà a prenderla e si faranno un lunghissimo viaggio insieme.

Come due amiche.

Mia nonna ha già accettato questo invito e sta preparando piano piano le sue valige e come ogni buona padrona di casa, sistema le sue cose così che se qualcuno dovesse entrare nella sua abitazione durante la sua assenza, trovi tutto ordinato.

Lo fa con serenità, senza veli di tristezza sul volto, e ne parla allo stesso modo, ti spiega il motivo con un “voglio che le tue cose, un giorno, restino tue”.

Senza dire altro, nello stesso modo in cui ti avrebbe detto “credo che uscirò a prendermi un gelato”.

E quindi sì, ora lo dico: credo che abbia vinto lei.

Perché quando dici “ho paura” in realtà è la paura ad avere te: ti ha in pugno, fa di te quel che vuole. Ma nonna non ha paura.

Nonna è libera, è di nessuno.

Ma lo scampolo no, lo scampolo “è di martina”.

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