#7 IL SOCIAL PARAFULMINE E QUALCHE CONSIGLIO AI GENITORI DATO DA UN FIGLIO CRESCIUTO A CAVALLO FRA DUE STAGIONI
Leggo di bambini che si suicidano a causa di sfide lanciate dai loro coetanei su TikTok, di adolescenti che su Instagram di danno appuntamento in piazza per fare a botte, di minacce nemmeno troppo velate da profili facebook traboccanti di fake news e foto in posa da macho.
L’ontologia del ventunesimo secolo è strettamente collegata ai social network.
Se qualcosa non viene postato come possiamo essere sicuri che esista davvero?
Purtroppo i bambini suicidi o gli adolescenti violenti esistono da prima dei social, ho fatto in tempo a vivere quel periodo e me ne ricordo bene.
A non esserci, in quell’epoca che a un adolescente di oggi deve sembrare più o meno il paleozoico, era la spettacolarizzazione della violenza e della tragedia.
Se capitava lo si sapeva perché ne parlava il TG, lo si percepiva come qualcosa di estremamente lontano, qualcosa che capitava soltanto in contesti dove le cose avevano smesso di funzionare.
Se da una parte i social network ci hanno costretti a fare i conti con la realtà, perché ormai il bombardamento digitale è tale da non permetterci più di ignorare le notizie, dall’altra ha fornito l’ennesimo alibi per potersi comodamente girare dall’altra parte.
È come se ci fosse una classe genitoriale, grazie a Dio minoritaria, non tanto interessata a capire le cause dei disagi dei figli quanto a cercare un fenomeno sul quale scaricare la colpa.
Non è una novità, i social sono solo l’ultimo dei capri espiatori, anni addietro ci sono stati il punk, il wrestling, i videogiochi violenti.
Davvero, mi chiedo, c’è qualche genitore così sprovveduto da credere che il proprio bambino si è buttato dal balcone solo perché qualcuno gliel’ha chiesto su TikTok?
Ci si può estraniare dal mondo al punto di convincersi che il proprio rampollo è diventato un violento picchiatore perché emula i modelli negativi che Instagram gli propina?
Sono stato un bambino discretamente felice, ho criticato spesso i miei genitori specialmente mia madre, l’ho sempre fatto con cognizione di causa e sicuro di avere ragione, alla lunga spesso ho finito per averla davvero ma mai e poi mai mi sarei sognato di fare a botte perché così facevano tutti e fidatevi, quando avevo sedici anni lo facevano tutti davvero.
Facile parlare per me che non ho figli potrà dire qualcuno.
È vero, non ho figli ma so cosa mi ha permesso di scampare a pericoli che, credetemi, c’erano anche negli anni della mia adolescenza, quando non c’era un telefono sempre pronto a immortalare ogni cosa per poi postarla in giro e fare il pieno di like e reactions.
I bambini e i ragazzi, per prevenire ed evitare di dare la colpa ai social quando ormai i cocci sono in pezzi, vanno interrogati.
Una persona che si trova in piena fase di crescita o di maturazione si sente responsabilizzata se le si chiede un parere su qualcosa, sente che il proprio punto di vista ha una sua validità, è importante.
Ma ancor più delle domande da porre è importante prendersi del tempo per ascoltare le risposte, con pazienza, anche se sono lunghe perché non esiste miglior punto di partenza per esplorare un punto di vista nuovo, un punto di vista che se compreso a fondo eviterà certamente danni futuri, social o meno.