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#14 LA QUESTIONE MENTALE

Che il destino, ammesso che esista, sia un grande bastardo ormai è un fatto assodato.
Stavo concependo questo pezzo, come sempre accade fra il mercoledì e il giovedì ormai da qualche mese a questa parte, basandomi su una lucida analisi di Mark Fisher ed ecco che squilla il telefono.
Una tragedia di quelle che non ti aspetti di giovedì sera.
Un amico, un affetto, una persona cara che sceglie di smettere di lottare.
È successo anche a Mark Fisher e ad un altro amico qualche anno fa.
A fare da collante la strisciante pandemia che non si vede e della quale non si parla ma che è destinata a serpeggiare fra noi ancora molto a lungo.
Ho a che fare con la depressione dal 2014, il fatto che non mi vergogni a parlarne costituisce un’eccezione che già dice molto riguardo al fenomeno.
La depressione non ha nulla a che fare con la tristezza, con la delusione, con la disillusione.
Per quanto potremo continuare a considerarla una disfunzione che riguarda il singolo?
Quando, con grande coraggio certamente, ammetteremo che non si tratta di una debolezza causata da qualche scompenso affettivo colmabile con l’abbraccio di una persona cara e una dose di buon umore?
Quando, cospargendoci il capo di cenere, diremo a chiare lettere che la depressione affonda le radici nel modello di società che abbiamo contribuito a costruire?
Oggi metto da parte la saggezza e con le anche le possibili risposte perché ritengo molto più utile lasciare a chi ha dedicato alla mia rubrica qualche minuto queste poche ma fondamentali domande.
Per questa settimana non ho altro da dire, sono certo che mi perdonerete.

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