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la rubrica di Nicola Brizio

#15 I MIEI AMICI LIBERALI E LO SCANDALO DELLA DOTE

Oggi voglio trattare un tema impopolare. Voglio farlo anche, ma non solo, perché trattare temi impopolari è una delle poche cose capaci di darmi vere gratificazioni giornalistiche.

A volte, spesso a dirla tutta, non me ne frega niente di quei temi ma la sola soddisfazione di andare controcorrente mi spinge a studiarli a fondo, fin nei minimi dettagli.Va da sé che alla fine anche questa è una condanna, la maschera del bastian contrario, la caricatura del Signor No.

Però è anche vero che da temi impopolari possono nascere spunti di riflessione interessanti.

Prendiamo la proposta del segretario del PD Letta di alzare la tassa di successione sui grandi patrimoni per finanziare una sorta di “dote” da lasciare ai diciottenni.

Non so quanti si siano presi la briga di entrare nel merito della questione fatto sta che subito, quasi all’unisono, si è alzato rumoroso e compatto il grido dei sedicenti liberali preoccupati per l’ennesima tassa proposta dal solito perfido comunista.

A parte che faccio fatica a capire come si possa definire comunista il nipote di Gianni Letta mi piacerebbe analizzare la paternità del principio che sta dietro la proposta di del segretario del PD.

Non mi interessa decidere né in alcun modo disquisire sulla bontà o sulla irragionevolezza della proposta ma solo capire se davvero si tratta dell’anticamera del bolscevismo come qualcuno ha sostenuto nelle ultime 72 ore.I liberali per anni hanno avuto come principio centrale e insindacabile quello della meritocrazia.

Cosa c’è di più antimeritocratico di trovarsi una dote spropositata, accumulata grazie al lavoro di qualcun altro, per diritto di nascita?

Lo ripeto a chiare lettere non sto entrando nel merito della proposta, sto solo cercando di capire perché i liberali si strappino i capelli quando si chiede di livellare la griglia di partenza così che tutti possano competere (altro termine caro ai liberali) ad armi pari e, se meritevoli, emergere.

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