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di Alessandro Monchiero (foto di Robi Fortunato)

A 5 chilometri da Bra c’è Merula, forse il più fornito magazzino di strumenti musicali della Penisola.
A Bra, per più di 30 anni, dal 1972, c’è stato il Macabre, un piccolo club di provincia dove venivano a esibirsi (spesso per la prima volta) alcune delle band che hanno fatto la storia della musica italiana, dai CCCP ai Marlene Kuntz, dai Subsonica agli Afterhours, e poi Capossela, Africa Unite, Teatro degli Orrori, Roy Paci ed Ezio Bosso, che viveva qui vicino, ci ipnotizzava col contrabbasso che all’epoca accarezzava come nessuno al mondo ed è diventato una star televisiva a un Sanremo di qualche anno fa, appena in tempo perché tutti – ma proprio tutti – si rendessero conto di quel che il mondo ha perso l’anno scorso.
Questo per dire della vocazione musicale, non proprio di provincia, della nostra città. Ma non finisce qui.

Perché poi, a Bra, c’era Barbero Dischi, il cui titolare Rodolfo, detto “Dofi”, è mancato il 31 agosto 2016 all’età di 75 anni.
Dofi, al quale mi accade bizzarramente di ripensare talvolta, sebbene non fosse proprio un simpaticone, e che è bene che le nuove generazioni che manco s’immaginano chi fosse (e cosa fosse il suo negozio) ne serbino una qualche memoria, sebbene traslata dalla mediazione dei miei ricordi.
Era Bra negli anni Settanta, Ottanta, Novanta. Succede, ai vecchi, come me, di vivere nel passato, e di trovarlo in qualche misura splendido e irripetibile. Degno di narrazione.
Eccola qui.

Descrivere il negozio di Barbero a chi non è stato giovane in quei decenni di fine Millennio è impossibile per generazioni abituate ad avere tutto e subito con un click, spesso senza pagare nulla. Ecco, diciamo che Barbero era il nostro web ante-litteram, perché da lui potevi avere tutto e subito anche negli anni Ottanta, ovviamente non gratis. La sua sembrava la bottega Safarà di Dylan Dog, un bric-a-brac dove era ammonticchiato di tutto nella prima sala, quella per il pubblico, e poi dietro il suo bancone si apriva un varco spazio temporale di cui nessuno ha mai conosciuto le dimensioni, la profondità, le architetture, ma conteneva tutto lo scibile musicale mondiale, dalle nenie degli sciamani Inuit al rock satanico, dal folk neozelandese al pop latino-americano. Tu gli chiedevi una cosa, lui spariva per un paio di minuti, e poi tornava con ciò che gli avevi chiesto. Probabilmente oltre quella porta viaggiava attraverso piramidi azteche che lo proiettavano sulla galassia di Orione, dove uno Smithsonian edificato da popolazioni aliene aveva catalogato tutta la musica del pianeta. Da adolescente pensavo avesse, lì dietro, un macchinario alla Jules Verne che gli consentisse di costruire alla bisogna, dal nulla, il supporto inciso domandato dal postulante in questione. Possedeva le videocassette di ogni film concepito da Fritz Lang in poi, e ti consegnava ciò che avevi chiesto mica con troppa simpatia e senza frizzi e lazzi da imbonitore che sobilla e ammaestra i suoi clienti. Te lo lanciava sul bancone in modo che il disco o il vinile sobbalzasse per qualche secondo davanti ai tuoi occhi strabuzzati, per godersi la scena del tuo sbigottimento. «Era questo che volevi?».

Non aveva bisogno di badare alla conservazione della clientela. Gli altri negozi del mondo avevano poco o molto, ma lui aveva tutto. Ma proprio tutto. E quel che non aveva lo fabbricava in due minuti nel retro-bottega su Orione. La sua non era antipatia o saccenteria, ma solo la piemontarda consapevolezza di essere uno dei migliori al mondo nel suo lavoro. Cosa volevi di più, a Bra, negli anni Settanta e Ottanta?
Ci mancava ancora che ti sorridesse!
Barbero, in adolescenza, abbiamo cercato di prenderlo in castagna decine di volte. Molti dei denari spesi da lui – si chiamavano lire allora – li ho scialacquati per scommessa: trovare un disco che non avesse. Un giorno del 1989 (avevo 17 anni) pensavo di aver finalmente trovato un titolo che non potesse possedere. Ci era giunta notizia della pubblicazione, in lingua spagnola, dell’omonimo terzo album di Luca Carboni, quello che conteneva “Farfallina” e “Silvia lo sai” per intenderci, ma cantate dall’autore in castigliano. Ci andammo in tre, gongolanti, nella sua bottega. E domandammo se per caso avesse sentito parlare di un’edizione spagnola di Luca Carboni.
«Lo volete in cd, in vinile o musicassetta?» domandò.
E ci annichilì. Stronzetti del cazzo, beccatevi questa!
“Vinile», risposi e lui se ne tornò dopo essere sparito due minuti: «era questo che volevi?»
Lo conservo ancora, pressoché intonso, ma chi poteva aver voglia di ascoltare “Farfallina” in spagnolo?

Non esisterà mai più un uomo così.

Dal 31 agosto 2016 il varco spazio-temporale, unico al mondo, conficcato nel cuore di via Vittorio, si è chiuso per sempre e Bra è tornata a essere una cittadina di provincia come tante altre.
Per di più, in Provincia di Cuneo, il che non aiuta mai.

Un pensiero su “QUEL PERTUGIO O MAGAZZINO CHE DIR SI VOGLIA SULLA GALASSIA DI ORIONE”
  1. Dipinto nei particolari il mitico, insuperabile Dofi!
    Bei momenti.
    Peccato per quel suo regno, in pieno centro della città, scrigno di preziosità, lasciato lì, racchiuso in un ammasso di … chiamiamole ragnatele.

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