di Zio George
“Breathe, breathe in the air, Don’t be afraid to care…”
Una corsa contro il tempo, contro il frenetico pulsare dello scorrere della vita, celato dietro questo oscuro lato della luna, è metafora della ricerca dell’essenza ,del riconoscersi e del ritrovare la propria dimensione.
Tutto ruota attorno al prisma in campo nero della copertina che ha capeggiato per 724 settimane ininterrotte dall’uscita, nel lontano 1973, in tutte le classifiche del mondo. I Pink Floyd orfani del loro fondatore, geniale e pazzoide, di nome Syd Barrett, lo omaggiano e ricordano con “Any colour you like”, brano che si può collocare più vicino al periodo lisergico-psichedelico della prima parte della loro produzione musicale. Qui si sente il prezioso lavoro del loro grande ingegnere del suono, Alan Parson, che ha preso per mano la band e sposato il progetto per poi spiccare il volo verso una straordinaria carriera musicale. Come nel lontano album Ummagumma e, precisamente, nella parte in studio, vi è grande uso di rumori e situazioni ambientali.
È così, con il battito cardiaco ideato da Nick Mason, che apre e chiude il disco, che inizia l’album, con “Breathe” e poi sempre più di corsa, attraverso ipnotiche ansietà, si va “On the run”, simulando l’aeroporto, il correre verso il volo e la frenesia del tempo che fugge impellente. Il suono di orologi e sveglie ci porta a “Time”, gioiello inestimabile della loro produzione e a questo tempo vigliacco ed inesorabile insieme alla potenza del denaro, Time rappresenta il ritmo incalzante ed ossessivo del lavoro.
Clare Torry, corista semi sconosciuta, viene ingaggiata per 30 sterline per comporre con orpelli vocali stellari questo canto quasi lirico che si innalza verso il cielo, come recita il titolo del brano “The great gig in the sky”. Negli anni a seguire si verrà a sapere, purtroppo, di una causa intentata dalla Torry che ha rivendicato il suo momento di gloria, visto che i Pink l’hanno, un po’ ingratamente per il vero, accantonata quasi subito. Si diceva del denaro ed ecco “Money”: si apre con il rumore di un registratore di cassa, elegia del soldo, dell’inutiltà frivola dello stesso. Tutto dopo si calma, assume i colori pastello, tenui e delicati di “Us and them”, vero simbolo di uguaglianza, di annullamento di conflitti di rivalità, in nome di un abbraccio musicale consegnato alla storia. “Brian damage” ci riconsegna poi la risata del produttore Peter Watts, che ha fatto capolino già nel primo lato dell’album e si chiude con “Eclipse” che scandisce con il testo la ricerca, lo sperimentare, la voglia di trovare e rivelare il lato scuro della luna…